Autismo
La parola “Autismo” deriva dal termine greco “autós” che significa: «sé stesso». Indica la tendenza a riferirsi solo a se stessi, a negare l’esistenza di ciò che è “altro da sé“, a rifiutare il contatto con la realtà.
Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo.
La Giornata mondiale per l’autismo si celebra il 2 aprile di ogni anno.
Fu proposta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007 da Mozah bint Nasser al-Missned, moglie dell’emiro del Qatar.
Lo scopo della giornata è quello di sensibilizzare enti e persone a collaborare per la ricerca, la diagnosi, il trattamento ed il superamento di ogni stigma sociale per le persone in questa condizione neurologica.
Quanto è diffuso nel mondo? I numeri.
Secondo una ricerca dell’Università di Cambridge, l’Autismo è tra le prime venti cause di disabilità infantile nel mondo. Mentre, per il Ministero della Salute, in Italia l’Autismo oggi affligge 1 bambino ogni 77, con un rapporto maschi/femmine di 4,4 a 1.
Se consideriamo poi il significativo incremento di casi a cui si assiste anno dopo anno, facilmente comprendiamo il perché del crescente interesse esploso intorno all’argomento.
Sulle ragioni alla base di questo aumento progressivo ancora oggi si discute. Infatti, mentre alcuni ne attribuiscono la responsabilità ai cambiamenti delle condizioni ambientali e sociali, altri invece ne fanno una questione di migliore capacità diagnostica. È come dire: “oggi sappiamo riconoscere ciò che, soltanto pochi anni fa, ci sarebbe sembrato un ritardo mentale“.
Che cos’è l’Autismo?
L’Autismo è un disturbo dello sviluppo neurologico che compromette l’interazione sociale e la comunicazione verbale e non verbale; inoltre chi ne è affetto presenta interessi ristretti, stereotipati e comportamenti ripetitivi.
D’altronde può presentarsi in vari gradi di intensità e con diversi assetti sintomatologici, per questo oggi si preferisce la definizione di Disturbi dello Spettro Autistico. Si vuole così sottolineare il nutrito ventaglio di quadri clinici possibili, aventi tutti come minimo comune denominatore questi tratti comportamentali.
Inoltre etnia, ceto sociale, stile di vita o il livello di istruzione non mostrano alcuna correlazione evidente con lo sviluppo di questa patologia.
Storia dell’Autismo: da tratto della Schizofrenia a “Disturbo dello spettro autistico”
Il termine “autistico” venne utilizzato per la prima volta nel 1911 dal dott. Eugen Blueler, noto psichiatra svizzero, allievo di S. Freud e a sua volta guida di Carl G. Jung. Egli usò questo termine per indicare un tratto di un quadro sintomatologico associato alla schizofrenia.
Occorsero ulteriori 30 anni di osservazioni e studi prima che si arrivasse a definire una sindrome a se stante e ben definita.
Il paziente 0
Donald Triplett è la prima persona a cui è stato diagnosticato l’autismo.
Donald nacque nel 1933 in Mississippi, da famiglia ben conosciuta e rispettata. A quei tempi i bambini con turbe mentali e comportamentali venivano affidati ad istituti specializzati, e lì rinchiusi per tutto il tempo necessario alle cure; e il piccolo di casa Triplett non fece eccezione. Entrò in sanatorio a 3 anni e vi rimase fino ai 4. Durante le visite mensili i genitori lo vedevano isolarsi sempre di più perciò decisero di riportarlo a casa, anche contro il parere dei medici.
Tuttavia non si arresero e si misero subito alla ricerca dello specialista giusto che potesse e sapesse aiutare il loro bambino. Fu così che incontrarono Leo Kanner, uno psichiatra austriaco.
Il papà di Donald glielo descrisse come “un bambino più felice quando è lasciato solo, ..che ama disegnare in un guscio e vivere dentro di sé, ..che ignora tutte le cose che lo circondano”.
Il dottore osservò che Donald parlava pochissimo e apparentemente non per comunicare con l’altro, e che quandanche lo facesse parlava di sé in terza persona; tendeva inoltre a ripetere parole e brevi frasi che gli erano state rivolte, e a volte comunicava i propri desideri attribuendoli ad altri. Esaminando Donald ed altri 10 bambini, Kanner nel 1943 pubblica “Disturbi autistici del contatto affettivo”; un articolo che rappresenta la prima vera e propria descrizione dell’autismo.
Egli si era accorto che non tutta la realtà esterna fosse ignorata dai soggetti autistici, ed individuò la discriminante nella componente “affettiva” delle relazioni compromesse.
Ovviamente il suo è un primo lavoro, pertanto certamente lacunoso ed incompleto, ma costituisce comunque una pietra miliare nella conoscenza di questa afflizione.
Psicoanalisi vs comportamentismo
Negli anni a seguire le teorie emergenti oscillano tra quelle che individuano nell’ambiente l’eziopatogenesi dell’autismo, e quelle che l’attribuiscono a fattori neurobiologici e genetici. Il tempo non fa altro che inasprire la spaccatura che segna la comunità scientifica in quegli anni; lo scontro è severo, profondo, le posizioni sempre più autistiche. Ognuno sembra più interessato a confutare il proprio punto di vista, che a completare il puzzle nosografico dell’Autismo apportando la propria tessera insieme alle altre.
Di fatti accade che le tesi psicoanalitiche filo-ambientali dell’epoca non erano supportate da evidenze biochimiche (che invece le neuroscienze moderne le hanno dato) e che il loro approccio, ancora troppo ortodosso, da solo portò a scarsi risultati. Il dado era tratto. Ci fu un boom di teorie e ricerche filo-genetiche di stampo comportamentista che scavarono un solco talmente profondo che ancora oggi questo approccio gode della stessa egemonia conquistata allora.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
Passarono gli anni e nel frattempo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) redatto dalla Società Psichiatrica Americana arrivò alla sua terza edizione. Si notò per la prima volta un approccio diagnostico che consentiva di descrivere una condizione clinica nel dettaglio per livelli e per aree di funzionamento.
La concezione del funzionamento mentale umano stava diventando tanto più dettagliata (il che è un bene) quanto miope rispetto all’individualità.
Nacque in questo contesto la definizione di “Disturbi pervasivi dello sviluppo“, alla cui branca venne annesso L’Autismo. Gli si riconosceva dunque una sintomatologia, una prassi eziologica ed una modalità evolutiva comune a tutti quei disturbi che pervadono severamente lo sviluppo del bambino.
Non più una particolare forma espressiva di una disfunzione, ma un elenco di sintomi per qualche verso assimilabile ad alcuni altri.
I Disturbi dello spettro autistico
Una nota positiva, a nostro avviso arriva con la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM); nel 2013 si introduce infatti il concetto di spettro autistico.
Ci si rende conto cioè che esiste una conformazione genetica alla base di un unico nucleo patologico che può presentarsi con diverse conformazioni. Proprio come lo spettro della luce che è composto da molteplici sfumature di colore, il Disturbo autistico, la Sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo dello sviluppo NAS ed il Disturbo disintegrativo dell’infanzia altro non sono che sfumature diverse del Disturbo dello Spettro Autistico.
Certamente i lettori più attenti si staranno chiedendo: “e perché questa sarebbe una buona notizia?”
Il motivo è semplice, anzi lo sono. Già, perché sono certamente più di uno.
Il primo riguarda l’individuazione di un quadro genetico alla base dell’autismo. Ciò vuol dire che oggi l’esame del DNA di un individuo disturbato offre subito un riscontro oggettivo che consenta di fare diagnosi precoci e puntuali.
Il secondo riguarda la consapevolezza dell’esistenza di uno spettro di possibilità. Assunto come criterio di base una particolare conformazione genetica, come si spiega il ventaglio di sfumature possibili? Alla stregua di altre patologie con base genetica predisponente, l’ambiente risulta determinante sia per lo sviluppo che per il grado di gravità della stessa. Nel caso dell’autismo infatti, non si tratta di una malformazione genetica (es: Sindrome di Down) che di sicuro provoca l’insorgenza della malattia; quanto piuttosto della presenza di alcuni geni che però si ritrovano anche in soggetti perfettamente sani. Ed in quanto tali sono considerabili solo come predisponenti alla malattia, ma non determinanti.
Il terzo motivo scaturisce invece da una riflessione: visti i ruoli riconosciuti sia alla genetica che all’ambiente, qual è oggi l’approccio terapeutico più opportuno? Di certo non un approccio autistico verrebbe da dire! Intendiamo con questo che forse i tempi sono maturi per integrare anziché dividere e negare; per contestualizzare e considerare tutti i fattori che sono in campo, senza arroccarsi su posizioni teoriche e numeri statistici che rappresentano inevitabilmente una realtà parziale.
Psicoanalisi vs comportamentismo 2.0
La storia di questo paragrafo è tutta da scrivere, magari lo riprenderemo tra qualche anno per raccontarvi com’è andata. Oggi ciò che ci sentiamo di fare è condividere con voi il nostro auspicio.
A partire dal titolo.
Abbiamo barrato VS, il simbolo di “versus” ovvero “contro”, perché ci piacerebbe che al più presto si possa sostituire con W/, il simbolo di “with” ovvero “con”. Ci piacerebbe cioè che al centro dei dibattiti restasse la salute e la cura dell’individuo, e che chiunque possa contribuire lo faccia con uno spirito d’insieme e senza campanilismi.
Nella pratica clinica questo significherebbe diagnosticare e trattare prima, meglio e più efficacemente chi è in difficoltà. Oggi chi si trova in una delle condizioni determinate dallo spettro autistico, nella stragrande maggioranza dei casi, in barba anche alle indicazioni del DSM 5 relative alla gravità del disturbo, trova una ed una sola risposta: l’addestramento comportamentale.
Per quanto ci riguarda non abbiamo nulla contro questo approccio, abbiamo qualcosa da ridire invece sull’abuso indiscriminato che se ne fa. Riteniamo infatti che basterebbe sinceramente adeguarsi alle indicazioni che ci arrivano dalle più moderne ed attendibili ricerche sul tema, per migliorare di gran lunga l’offerta dei servizi d’aiuto disponibile.
Tolti i due poli estremi dello spettro autistico, per i quali una terapia supportivo-espressiva da un lato e una terapia comportamentale dall’altro possono bastare a se stesse, per tutte le sfumature nel mezzo c’è la necessità impellente di un approccio multidimensionale e multidisciplinare.
Su cosa si basa la diagnosi?
Affinché si possa fare diagnosi di Disturbo dello spettro autistico, è necessaria la compresenza di due caratteristiche:
- 1 – Deficit pervasivo della comunicazione e dell’interazione sociale in diversi contesti;
- 2 – Schemi comportamentali e interessi ristretti, stereotipati e ripetitivi, ed alterazione della percezione sensoriale (spesso Ipersensorialità)
I sintomi inoltre devono essere presenti già nei primi 2 anni di vita, e non devono esserci altre cause patologiche che spieghino le disfunzioni osservate.
L’Autismo ai tempi del COVID-19
Certamente in questo particolare periodo storico l’emergenza Covid-19 sta mettendo a dura prova la tenuta emotiva di ciascuno di noi; le persone nello spettro autistico possono di conseguenza risentire ancora di più dello stress dovuto a tutte le restrizioni che stiamo affrontando.
L’Istituto Superiore di Sanità ha perciò ritenuto opportuno stilare un documento* contenente consigli e indicazioni per affrontare al meglio un momento così difficile.
A casa, per esempio, è necessario mantenere una routine quotidiana. Conservare le abitudini circa il sonno e la sveglia, scandire la giornata con i lavori domestici e altre attività ludico-ricreative, aiuta a conservare un equilibrio la cui perdita potrebbe provocare uno scompenso. Altrettanto importante è mantenere, nei limiti del possibile, gli appuntamenti con i professionisti della salute che li hanno in carico; anche da remoto, qualora non si dovesse conservare la medesima efficacia, saranno pur sempre utili ai fini dell’equilibrio.
Qualora fosse necessaria l’ospedalizzazione, è importante rivolgersi a strutture ospedaliere che abbiano attivato percorsi di accoglienza specialistici per chi ha disabilità (percorso DAMA).
Per i pazienti collocati in strutture residenziali vanno sia sviluppate procedure che limitino il rischio di infezione sia elaborato protocolli da attivare nei casi di positività. E’ inoltre consigliata l’individuazione di un referente che garantisca informazioni continuamente aggiornate sull’igiene e sull’uso dei DPI.
* Osservatorio Nazionale Autismo ISS. Indicazioni ad interim per un appropriato sostegno delle persone nello spettro autistico nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 30 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 8/2020).
Autismo: condizione o disturbo?
Alla luce di quanto detto sullo spettro autistico oggi è senz’altro preferibile usare il termine “condizione”, in quanto si tratta di un insieme di caratteristiche, di un modo di essere. Potremmo immaginarlo come una forma di neurodiversità, come differenza e non come disturbo.
Una differenza di termini apparentemente piccola ma che sancisce una grande differenza concettuale e che può migliorare l’approccio ed il punto di vista su questo ambito.
È infatti possibile riscontrare nell’area dello spettro autistico anche abilità insolitamente sviluppate; il disegno, la musica, il calcolo matematico o la memoria possono risultare ben sopra la media, ed è questo un fatto che ancora una volta merita di essere portato dentro della nostra concezione e non lasciato fuori.
Un cambio di prospettiva che in Auticon, società di servizi di information tecnology hanno ben recepito, e ne hanno fatto “persino” il loro slogan: “L’autismo non è un errore di sistema, è un altro sistema operativo“.
Si può fare.
Dr. Angelo Cirillo
Psicologo Psicoterapeuta
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